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La mezza Luna nel Cielo vero di una notte di troppo Sole

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Esco dalla mia tormentata casa, a braccetto con un sole sonnecchiato e stacanovista.
Le quasi nove di sera.
Maglia degli AC/DC nera, camicia a quadri sul rosso, pantaloni marroncini, scarpe della Nike     (air max turbolence, comperate da poco).
Percorro il solito vialetto illuminato da persone senza un lavoro e con poche speranze.
Ferme, sedute su motorini, loro unico motivo di vanto, a parlare senza nulla significare.
Sguardi tanto tristi anche se ridono in modo virile.
Persone uguali.
Ma tanto diverse, solo che non lo vogliono accettare, ne provano paura.
La diversità non è un privilegio.
È un privilegio, accettarla.
E non è così facile avere delle idee che non siano le stesse del branco.
Continuo la mia corsa verso la mia “vita”.
Arrivo a una fermata.
Molti extracomunitari.
Stessa mia fermata.
Parlano lingue tanto lontane.
Chissà cosa significano, cosa si stanno dicendo.
Le lingue mi hanno sempre incuriosito.
Arriva il mezzo che stavamo aspettando.
Tutti ci carica.
Gente di tutte i posti su questa galera a percorrere miglia di oceano grigio sporco.
Tutti i posti occupati.
Ma un ragazzo di colore (nero, il colore è il nero) cede il suo posto a una persona anziana.
Io ritto in piedi, mischiato come carte da gioco tra tutte queste genti e queste parole.
Io lì che osservo.
Io lì che finisco “Storie di Ordinaria Follia”.
Il mio cammino.
Le persone.
Il futuro.
Le lingue.
I miei pensieri che la ricercano, tra la folla di pensieri e di visioni.
L’aria che entra da un finestrino.
L’aria che combatte con i miei capelli neri.
Martin.
Martin, l’uomo.
L’uomo che cerca sempre qualcosa.
L’uomo e la sua curiosità.
Una coppia di ispanici che entrano.
Un bambino portando.
Lui un tatuaggio di una lapide sul braccio, lei una fenice rossa sul seno.
E si parlavano con tanto amore.
Anche se a vederli, scapperesti.
E il bambino.
A lui parlavano in italiano.
Sanno che le diversità non aiutano.
Non sempre.
Non con la gente stupida e ignorante.
E la gente, a priori, è sempre stupida e ignorante.
Vedo il teatro.
Devo scendere.
Io non conosco i nomi delle vie.
Io vado avanti a punti di riferimento.
Scendo dal mio veicolo, mi giro e come un bambino ringrazio ancora l’autista per il passaggio.
Sottovoce.
Ricordate? Le differenze non sempre sono portatrici di rispetto.
Scendo.
Metto le mani in tasca.
Cerco le cartine.
Mi rollo una sigaretta, mi piace fumare, mi ucciderà.
Fumo troppo io, ragazzi.
Troppo.
Cammino sulle vie deserte, piene di granelli.
Un granello, una persona.
Un granello, una parola.
Un granello, una macchina.
Suona il mio telefono portatile.
E vedo sul display il nome della vita verso cui mi stavo dirigendo.
Sono in anticipo, penso.
Come sempre, aggiungo a voce percepibile da orecchio umano.
Sorrido.
Rispondo, e Lei, mi chiede dove mi trovo.
Davanti al Teatro, dietro la coda di persone intente ad entrare.
Lei arriva col suo cavallo blu, con tanto d’idroguida e servosterzo.
Mi fa salire.
Le sorrido.
Mi sorride.
Non porta sul naso quegli occhiali, scuri.
“E la prima volta che ci vediamo di sera” Aggiunge.
Si accende una sigaretta, con fare da donna.
È così matura questa ragazza.
A un modo di fare sicuro, anche sotto tutto quello che c’è.
Ed è adorabile quando mi appoggia una mano sulla gamba, mi fa sentire parte della sua vita, non so come spiegarvelo, mi sa sentire una appendice biunivoca di connessione tra lei e me.
Andiamo nel posto dove tutto si può vedere.
Andiamo nel punto più alto di tutta la città.
E bello sentirla parlare vedendo la città così piccola.
Vedendo negli occhi la Luna.
Osservando che il cielo è diviso orizzontalmente a metà, per colpa dello smog.
Ti da una sensazione di superiorità la visione della città da questa angolazione.
Solo presunta.
Ma lei, e la città dall’alto.
Vedere tutta la gente come microscopici puntini.
Vedere i monumenti e i palazzi come pacchetti di sigarette.
Te li potresti mettere in tasca, come potresti tirar fuori dal tuo zaino le biglie di vetro e fare una gara con lei tra le vie e i corsi della nostra amata città.
Una Lamborghini “Diablo” che viene parcheggiata vicino a noi.
Quel suo stemma che si ferma dietro le nostre nuche di amanti.
Il soffio nervoso del motore che si cheta.
Qualcuno che scivola fuori dall’auto.
Ombre per lo più.
Continuiamo a parlare, per non so quanti minuti, non so quante ore.
Le parlo di me.
Ascolto di Lei.
Di lei…
Della sua vita, delle sue incertezze.
A un tratto mi accorgo che tutte le stelle sono rivolte verso di noi.
Tutte zitte e ferme, che ci ascoltano, ma io so che non ascoltano me.
Sono completamente rapiti dal suo fascino.
Lei con la mia camicia quadri, e la mia gelosia per quelle zanzare che bevono di lei.
Le ore che con lei diventano squisiti secondi.
E intanto il cielo che si veste da notte.
I colori vari che sfumano nell’unico colore della sera.
E la luna che prende vigore.
E la Luna che mi sfiora.
Che si appoggia al mio petto.
Che mi sa sentire così importante.
Che mi fa sentire così vivo, così perfetto.
Lei, la ballerina.
Le la ragazza che quando guardo svanisco, e vorrei che nulla la toccasse se solo per ferirla.
Le sue mani nervose, mentre mi parlava con dolore, e le mie che volano sicure, per svellere la sua destra dalla gemella, e coccolarla.
Spero di riuscire a farle sentire che sono vicino.
Ma non solo perché è tutto il mio mondo adesso, e lo sta diventando sempre di più.
No.
Non solo per questo.
Ma per il motivo che lei è una persona, e quindi l’egoismo di ogni mio gesto vuole diventare amicizia, cortesia.
Io fra poco comincerò a dover lavorare per il bene dello stato, per un anno quasi.
Non in una puzzolente caserma, ma presso delle persone che hanno bisogno di una mano concreta.
Non so ancora dove andrò a finire.
Non lo so.
Non so con chi dovrò confrontarmi, ne quali problemi mi porterò a letto, la notte dopo aver conosciuto questi individui soli.
Ma c’è qualcosa che mi rilassa, quanto osservare il tramonto sul viso di un bimbo.
E quel qualcosa è la sensazione che lei sarà per quanto si può al mio fianco.
Non sono avezzo a queste attenzioni.
Sono più solito risolvere, o meglio accumulare i miei problemi da solo.
Sentire che per qualcuno vali, e che quella stessa persona vuole stare con te, è una sensazione che non ha prezzo.
Nessun prezzo.
E non è un caso che io mi sentissi così in alto in questa serata.
Non è dovuto solo all’altitudine.
No.
E voi attenti come mai, l’avrete intuito il motivo.
Sentirsi padrone delle nuvole.
Sentire la natura che ti commuove, e l’aria che si fa fresca e respirabile, perché ti accetta.
Io non sono un entomologo, non un artista, non un poeta.
Un semplice cantastorie, non sono cieco, e non scrivo poemi che diverranno storia.
Sono Martin, e adesso sono sereno.
Lei ora è a casa sua, starà facendo qualcosa.
Magari in questo momento si fermerà e mi penserà.
Spero di non deluderla, e farla sentire alta.
Perché lei è alta.
E adesso, tutti i miei disegni, i miei amati disegni che io ho confezionato negli anni passati, in cui ho riposto un sogno, o una situazione, adesso mi guardano con aria strana.
  Quasi materna.
E il ventilatore spruzza il suo profumo, in giro per la mia stanza, dentro le mie carni.
Io, Martin, l’uomo che le ha chiesto sottovoce, a un palmo di vita dal suo orecchio di “prendere la mia vita”.
Io, Martin.
Io, il ragazzo che non le ha ancora confessato che spesso scrivo, e che non le ho ancora detto quanto ha scritto di lei.
Perché adorerei il momento in cui lo scoprirà da se.
In cui le capiteranno queste pagine innamorate da mille parole sulle mani congiunte.
E vederla leggere, capire, annusare, volare.
O meglio e quello che spererei capitasse.
Se le dicessi adesso, che scrivo di lei, le metterei solo curiosità.
E io preferisco che capiti, quando è il caso, senza forzare nulla.
Ultimamente mi sto già lasciando fin troppo andare.
Vorrei camminare, invece non riesco a far nulla senza correre o saltare.
Io che mi innamoro con così tanta difficoltà.
Io, Martin, vi auguro di passare una giornata fulminante, stupenda.
E fate occhio agli sguardi che vedete in giro.
Potreste stupirvi di quello che si nasconde dentro di essi.



Martin
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Martin (Andrea Franzino)

"Per cadere, basta una spinta.
Per volare, ci vuole perseveranza." 

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